Giovane militare Gianni e Rodolfo Mitica Vespa: in gara Sempre avanti Birmania Radio Monte Grappa

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Sei in : La guerra _ La battaglia di Filottrano e Cingoli _  Pagina 3 di 3


Questi coraggiosi partono con un carro e raccolgono sette arditi,
tra i quali il sergente maggiore Sisto BERNARDI da Treviso; faccia simpatica e buona il Bernardi. Ha una ferita ad una gamba e con ogni probabilità la perderà. A sera i feriti, medicati alla meglio, stanno uscendo dal terreno di fuoco e sono adagiati sul carro assieme all’ufficiale medico.
Il lento veicolo sta risalendo la collina quando una ruota affonda in una buca, un tremendo fragore seguito da un volare di schegge di legno, di brandelli di stoffa, di carne umana: il carro è a pezzi. 

Al mattino una pattuglia scende verso il fiume alla ricerca dei mancanti e fra i resti del carro della morte viene scoperto, apparentemente intatto, il Bernardi con la gamba fasciata; in realtà la mina gli ha dilaniato il ventre. Ma non è stata questa la causa della morte immediata del giovane, anche se aveva i minuti contati: Bernardi non ha voluto attendere la fine e si è sparato alla tempia destra.
Il colonnello Boschetti per anni avrà in mente la figura del suo sergente maggiore. Un ardito che si finisce al buio con gli ultimi pensieri: «Alla mamma, ai suoi compagni, alla sua ridente città veneta, nella solitudine più terribile».

Alfio Caruso sul suo libro:"In cerca di una Patria" riporta un fatto che ha del  misterioso o del miracoloso:
"L'ufficiale Donati riceve l'incarico d'impiantare l'osservatorio. Sceglie una chiesetta circondata dagli alberi. Vi si dirige, però si ferma all'improvviso: giurerebbe di aver ascoltato una voce conosciuta richiamarlo. Si guarda un po' intorno: silenzio e vuoto, se ne sono andati perfino gli uccellini. Donati  riprende ad avanzare ed ecco nuovamente la voce famigliare: " Giorgio... Giorgio..." Ma è la mamma... Donati sa benissimo che sua  madre è da un'altra parte, che non c'è anima viva nel raggio di cinquecento metri, che se sente le voci è messo male. In un misto d'imbarazzo e di perplessità si ferma. In quell'istante un obice centra in  pieno la chiesa e la riduce in poltiglia.

Intanto si fanno i conti... delle ultime giornate:
Il Corpo Italiano di Liberazione ha catturato 24 ufficiali e ben 2552 tra graduati e truppa.
Le perdite tedesche: morti 159 ufficiali e 2071 fra graduati e truppa.
Le perdite italiane sono morti 44 tra ufficiali e sottufficiali e 403 uomini di truppa.

Nelle prime ore del 19 viene occupata da truppe italiane Santa Maria Nuova. I tedeschi impegnano più a est i marinai del Grado, il XXIX battaglione bersaglieri e il II battaglione del 68° Legnano. Quì muore un bergamasco, si chiama Giuseppe RICCARDI. È uno di quei figli di italiani all’estero che hanno voluto a tutti i costi venire in Italia per arruolarsi volontari. È addetto al vettovagliamento. Ma quel giorno gli fanno fare da ricognitore e di collegamento. Il nemico lo abbatte mentre in piedi, tranquillo, sta dirigendo il tiro di una mitragliatrice su una postazione da lui individuata. Forse presago di dover morire ha redatto, il 6 dicembre del 1943, un testamento spirituale, da lui vergato nelle pause d’ozio di Sant’Agata dei Goti, in esso si leggono queste parole: «A tutti i miei amici di Francia i miei pensieri affettuosi con l’augurio e la certezza che come l’Italia nostra, la sua sorella rinascerà dopo questa dura prova».

Siamo nella zona di Corinaldo, tra i tanti c’è il giovane sottotenente Alfonso CASATI, il padre è il nuovo Ministro della Guerra del governo Bonomi. Il Ministro telefona al figlio: «Alfonso vieni a Roma c’è un posto per te»,... l’altro ride e di rimando: «Papà ma a Roma non si difende
la Patria». E lo troviamo nei pressi di Corinaldo che stà piazzando i suoi mitraglieri per fronteggiare un eventuale attacco nemico. Sulla zona regna un silenzio innaturale... che è bruscamente spezzato da una serie di tiri da obici, mortai ed armi automatiche. Cade un mitragliere ed il capo pezzo lo sostituisce gridando: «Munizioni». Il Casati vista la situazione si mette una cassetta di munizioni in spalla e si precipita verso la postazione... viene abbattuto da una raffica nemica. Ad Alfonso Casati, figlio del Ministro della Guerra, a fine delle ostilità verrà concessa la «Medaglia d’Oro al Valore Militare».

Una pagina di Francesco Florà su questo eroe: «Così moriva per l’Italia Alfonso Casati - Aveva già detto ai suoi che non piangessero s’egli non fosse tornato: aveva detto al padre nell’ultimo incontro: "se qualcosa mi dovesse accadere, tu devi continuare il tuo lavoro come s’io fossi vivo" E il padre fece questo, degno del figliolo».

Scrisse il Croce:
«La perdita di questo giovane è perdita d’Italia tutta: giacché in giovani di quella tempra son riposte le speranze per la rinascita dell’Italia».

Cagli è liberata e torno a vedere le sue bellezze dopo un anno da quando, sergente allievo ufficiale a Pesaro, avevo partecipato alle Grandi Manovre in questa città. Qui, mentre stavo alloggiando i soldati in un capannone, ho la gradita sorpresa del compaesano Gildo Pasquettin, detto «Pistoa», così hanno il soprannome tutti i Pasquettin a Fanzolo, che viene a farmi visita. Finalmente, in tutto questo marasma trovo un caro amico. 

Baci, abbracci e tante storielle da raccontarci, lui principalmente essendo ardito del battaglione di Boschetti. Gli chiesi: il più brutto momento trascorso tra i tanti combattimenti, e senza indugio dice: «Sul Musone dopo la conquista di Filottrano, sono qui per un miracolo». A guerra finita Gildo si sposa e sono il progettista della sua nuova dimora, a Castelfranco Veneto, purtroppo nel 1970 muore per malattia con mio sommo dolore.
Urbania, Urbino e Perugia sono state liberate ed un giorno assieme al capitano Salsilli andiamo a visitare Perugia, che vedevo per la prima volta; col passare degli anni, quale globe-trotter, la visiterò accuratamente parecchie altre volte. 

In questo periodo ricevo un  telegramma dai miei genitori. 

Quando nel gennaio ero ad Airola, attraverso la Radio Vaticana avevo inviato un messaggio a casa mia comunicante la mia ottima salute, e dando il mio recapito presso la famiglia De Marco di Airola.
Questa, aveva ricevuto il telegramma e attraverso il Comando, gentilmente, me lo aveva fatto recapitare. In quel periodo a Fanzolo viveva anche mia nonna Elena, novantenne, e dal testo del telegramma capii che la mamma di mio papà era morta; la firma del documento portava solo: baci da papà e mamma.

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