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Davanti a noi c’è Monte Marrone, alto 1805 metri. I tedeschi più volte si sono visti sopra il monte. La notte del 31 Marzo 1944, alle 3.30, gli alpini divisi, in due colonne, vanno alla conquista dell’alta montagna. L’impresa non è facile, oltre alla probabilità degli agguati nemici, il terreno presenta infinite difficoltà. La boscaglia della base si spegneva a meno di mezza costa in arbusti dai quali si staccavano guglie irte altissime, nè strade, nè mulattiere, nè sentieri facilitano la scalata, ci si deve muovere nei canaloni, inerpicandosi fra rocce, aggrapparsi a sassi, superare... grane... tutta la notte dura l’impresa. 

La nostra artiglieria batte incessantemente oltre le creste sul versante opposto, con lo scopo di tenere in scacco il nemico, il quale sembra assente. Sulla parete che guarda Val di Mezzo regna il silenzio della sorpresa. I bravi alpini muti salgono e progrediscono lentamente. Non si sente che il greve respiro degli scalatori e qualche leggero sibilo di richiamo e per l’orientamento. Gli ordini dati sono precisi e le consegne inequivocabili. Con il mitra spianato, con gli occhi spalancati nel buio, con le orecchie tese ad ogni rumore, i soldati della montagna arrancano, guardano nel buio le sommità, sognano le vette. 

Qualche breve istante di sosta ogni tanto per riprendere fiato, qualche laconica trasmissione degli ufficiali, e niente di più. Si guadagna faticosamente terreno, sempre più lontano dal fondo valle, sempre più verso le vette. Si devono affrontare passaggi di secondo grado, prevalentemente ghiacciati e con il fardello al completo dell’equipaggiamento. 
Le prime pattuglie raggiungono una vetta, si spingono a destra ed a sinistra, silenzio più assoluto. Altre vette vengono raggiunte ma, con grande sorpresa, dei tedeschi non vi è traccia. Hanno abbandonato le posizioni evidentemente certi di non poterle tenere a lungo. Buon per noi, che dopo tanti sforzi, ma senza vittime conquistiamo il monte. 

Il 5 aprile il Comandante dell’ 11° Reggimento Artiglieria, colonnello Valprè di Bonzo viene rimosso, subentra il colonnello Mario Brunelli; il primo, forse rimosso, per aver troppo venerato il suo re. Nel frattempo entrano in azione altri reparti italiani; si tratta del battaglione Bafile, i "Marines italiani" del battaglione dei paracadutisti della Nembo e gli arditi del colonnello Boschetti inquadrati nel C.I.L. quest’ultimi hanno la denominazione di IX Reparto d’Assalto. 

Il Boschetti era uno di quei tipi che, stando almeno alle parole del cappellano degli arditi, di normale non aveva proprio nulla. Con il volto perennemente accigliato, baffi e capelli corvini, la pelle olivastra, aveva avuto un’idea non troppo brillante, quella di farsi crescere un pizzetto. Fra la divisa e il pizzetto rischiava di ricavare l’idea di un combattente per lo meno stralunato, forse voleva esser uno dei 4 moschettieri. 

Lo ha raccontato un giorno Paolo Monelli ne "La Stampa" del 24 aprile 1954: "Una mattina, verso la fine d’agosto 1944, andando a visitare con il colonnello brigadiere Moggio, comandante della seconda brigata, i marinai che avevano preso Acqualagna, salimmo a un poggio di qua del fiume, a una casa colonica ove al riparo di certi pagliai stava il comando del IX Reparto d’Assalto. Qui trovai l’uomo più scontroso, più scorbutico del mondo, arido, una faccia scarna come ci fossero andati attorno con la sgorbia. Il colonnello Boschetti ci aggredì subito, il generale e me, che non ci eravamo messi subito al riparo dai pagliai col rischio di scoprire la posizione ai tedeschi sulle colline di fronte. "Già i signori fanno la visitina e poi se ne vanno e noi poveri cristi restiamo nella peste". 

Boschetti invece, ovviamente, era un comandante coi fiocchi. Aveva, questo sì, una sua particolare concezione sul modo di tenere la disciplina. Il suo epiteto ricorrente era quello di fessachiotto e non c’era ardito che non se lo fosse meritato almeno una volta. 
Un tale che s’era azzardato a non fargli il regolamentare saluto d’ordinanza s’era visto sbattere contro il muro con una forza inaspettata in quel corpo magro e segaligno. 

Un altro era stato preso a calci perché non s’era messo sull’attenti ed era rimasto con le mani in tasca; si trattava di un soldato della sanità. Da buon trentino era coriaceo e cocciuto come le sue montagne; quando aveva preso una decisione non c’era verso di smuoverlo. Era capace di rispondere al superiore che gli comunicava i piani di battaglia: "No, io faccio così!" "Ma sono o non sono io il..." si sentiva allora sbraitare all’altro capo della linea, così forte da far vibrare tutto il microfono. "Allora taglio il filo telefonico" era l’imperturbabile risposta. 

In combattimento non si smentiva. Andava lui stesso a far le ricognizioni sul terreno e non si fidava di nessuno se non dei propri occhi. Poi passava delle ore a studiare la carta fino a che aveva tutto in mente, con il terreno fotografato metro per metro e tutti i dettagli dell’azione perfettamente chiari. Appresi tutte queste notizie su Boschetti da un suo Tenente che un giorno venne a trovare un mio artigliere suo compaesano. Di lui avrò modo di parlare più avanti dato che i suoi arditi diverranno quasi un simbolo e una bandiera per gli italiani combattenti a fianco degli alleati. 

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