Giovane militare Gianni e Rodolfo Mitica Vespa: in gara Sempre avanti Birmania Radio Monte Grappa

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Una mattina d’Agosto del 1942 io e Beniamino prendiamo la Corriera, che fa fermata all’Osteria dee Borate, meta il Distretto Militare di Treviso per prendere il biglietto ferroviario con destinazione Bari al corso Allievi Ufficiali.
Mi è rimasta impressa nella mente questa scena: mio padre e mia madre, che percorso il viale della Stazione aspettano il passaggio dell’automezzo per darmi l’ultimo saluto agitando le braccia in alto, quale abbraccio al figlio partente, in quel periodo non roseo per il prolungarsi degli avvenimenti bellici.
Durante il viaggio incontriamo altri tre trevigiani che hanno la stessa nostra destinazione: De Polo Bruno, Scardellato Lelo, Parpinelli Giovanni tutti e tre da Oderzo.

Arriviamo a Bari verso le 19 e De Polo non vuol andare in caserma, preferisce trovare una camera e dormire ancora una notte da borghese. Cos’era una notte, quando dopo ne feci ben 1091 sotto la naia. Non volli esser «Bastian contrario» ed accettai.
Finalmente a Bari nella grande Caserma: un grande terreno interno, meta di estenuanti esercizi tra avanti marsc, di corsa, attenti, riposo, presentat’arm, fianc’arm, canti, e pochi rompete le righe.
Bari, città, posta a metà della costa pugliese, serrata e compatta tra vicoli tortuosi dove, all’ombra di insigni monumenti, si è svolta tutta la storia antica, si contrappone la nuova, che si è sviluppata nel secolo XIX su una pianta regolare a vie rettilinee.
Oggi si può aggiungere una terza Bari, la nuovissima, che nel ‘900 ha abbondantemente scavalcato da ogni parte il tracciato ferroviario, avendo come punti di riferimento la zona industriale e la Fiera del Levante.

La nostra caserma era posta proprio al di là della linea ferroviaria ed ogni sera, chi andava in libera uscita, doveva attraversare il ponte sopra la strada ferrata.
La vita di caserma è una cosa tutta particolare e il primo impatto è pesante, ma dopo qualche settimana hai fatto il callo e tutto fila più liscio. Il pranzo non è quello famigliare: pastasciutta o brodo condito con pezzi di zucca bacira (sarebbe una zucca gialla lunga un metro e più).
Si dice che i baresi coltivano questa zucca per darla da mangiare esclusivamente ai maiali.
Alla sera brodo ed un pezzetto di carne, due pagnottelle di pane confezionato con il 70% di farina di mais ed il 30% con farina di frumento.
Mio padre aveva uno stipendio di mille lire al mese ed era un’ottima paga, tanto che c’era in voga in quel periodo una canzone che diceva: "Se potessi avere... mille lire al mese..." ed ogni mese mi mandava cinquecento lire.
Con questa somma ero il più ricco di tutti i 103 allievi ufficiali del corso, e dire che c’erano allievi con un padre che guadagnava un milione al mese, e questi figli di ricchi venivano in prestito di soldi dal sottoscritto, con restituzione all’arrivo del vaglia paterno che al massimo era di trecento lire. Cosa si dovrebbe dire a quel padre che si privava di mezzo stipendio per aiutare il figlio?

Alla sera il mio rancio lo donavo a Berto da Oderzo che aveva sempre fame; uscito dalla caserma cenavo al Ristorante "Petruzzelli" che prendeva il nome dal famoso "Teatro Petruzzelli" incorporato col ristorante e che nel 1990 prese fuoco per un fatto doloso.
A Fanzolo c’era un certo Luigi Marin di professione fornaio, in quel tempo prigioniero degli inglesi in Sud Africa, ed il suo negozio era gestito dalla moglie Mena mia carissima amica, in seguito entrerà nel legame di parentela sposando sua nipote.
Siamo nel periodo della tessera annonaria per l’acquisto del pane e più di quel tanto non potevi avere.
Non so come facesse la Mena, mi mandava attraverso le lettere dei miei genitoriuna buona scorta di bollini per l’acquisto del pane.
Quando entravo al "Petruzzelli" due o tre camerieri mi si facevano incontro e con garbo e moine varie erano sempre attorno al mio tavolo, sapendo che per mancia davo dei bollini, acquisto pane, a ciascuno.
Più volte, alti ufficiali in altro tavolo si lagnavano con il proprietario del locale, dovevano chiamare ripetutamente un cameriere per dare le commende, mentre uno "sbarbatello caporale allievo ufficiale" aveva sempre più di un cameriere a sua disposizione.
Don Abbondio direbbe: "Carneade chi è costui"?

Mi ricordo ancora il prezzo che pagavo per una pastasciutta o risotto e un pezzo di coniglio o pollo, vino e contorno: lire 20,00.
Dopo due mesi che ero a Bari, mio padre venne a trovarmi: lo condussi per la città, ma era più entusiasta della veduta di suo figlio che delle bellezze del luogo.
Ancora alla sera partì, cosi si fece due notti consecutive in treno per vedere suo figlio. Ora sentiamo fatti orribili dove madri sopprimono i figli per essere libere dal peso che queste creature le opprimono.
A Bari imparai a cavalcare; una volta alla settimana c’era equitazione, inoltre avevamo dei muli per il trasporto del cannone smontato e ad ogni marcia ti davano un mulo in consegna. Spesso mi capitava Celestino, mulo intelligente e buono ma aveva un difetto: potevi caricargli anche due fusti di cannone e lui portava tutto sulla groppa, ma non poteva soffrire se lo imbrigliavi per trainare un carro, non poteva sopportare le due aste di legno (in dialetto "stanghe") che sono poste ai fianchi del mulo e servono come timone.

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