Giovane militare Gianni e Rodolfo Mitica Vespa: in gara Sempre avanti Birmania Radio Monte Grappa

Testo più grande per leggere meglio? Premi il bottone "Ingrandisci"


Ritorna alla dimensione di base:

Sei in : La guerra _ Scapoli _  Pagina 1 di 2

Nel frattempo il Comando e l’intero Primo Raggruppamento Motorizzato viene trasferito a Sant’Agata dei Goti, una cittadina medievale in cui la popolazione ormai si era rassegnata al transito in tutte le direzioni dei più svariati convogli e dei soldati più diversi, compresi i nostri, e nel vedere i badogliani, dallo scudetto sabaudo cucito sul petto, non stette nemmeno a guardare di che nazionalità fossero. 

Lo stesso generale Utili s’era accorto che qualcosa non andava per il verso giusto, la campagna antimonarchica sembrava appuntarsi in particolar modo contro il piccolo scudetto che portavano i soldati del Primo Motorizzato apostrofati, di frequente, con il termine evidentemente in senso spregiativo di badogliani. Penso: "Siamo qui per dar una mano a questa decrepita Italia, possiamo rimetterci la pelle e questi ti prendono per il fondello". La mia batteria entra ancora in linea e si sistema in Scapoli sulla destra del paese. 

Scapoli, una cittadina sorta sulle rovine di Seticola, di cui si hanno notizie certe intorno al quarto secolo avanti Cristo. Tipico paesello del Molise, per il breve tempo che vi rimaniamo è luogo caratteristico; quando per qualche ragione si fa una capatina a Napoli o a Benevento e si dice di essere a Scapoli, constatiamo che non sanno dove sia questo paese. Scapoli sorge su di un greppo a 800 metri circa, vicino a Castelnuovo. Guardandolo dalla valle sembra un blocco grigio-ferro. Le case addossate, sovrapposte e accavallate; le strade strette e tortuose, la planimetria irregolare, a caso. Paese di capre e tuguri rudimentali. 
[Vedi immagine da satellite - link esterno Google]

All’ingresso dell’abitato sta, un pò discosta, la chiesa parrocchiale con le stigmate della guerra; quasi all’estremità opposta sorge l’antico castello del signorotto. Il panorama è superbo; a mezzogiorno la vista si perde nella vallata del Volturno, giù sino a Venafro. Sullo sfondo distinto, isolato, si taglia il massiccio del Matese, dalle cime nevose e scintillanti ai raggi del tramonto. La coltivazione è ad oliveti, prati, boschi, interrotti da rocce calcaree e da enormi macigni. 

La terra è povera e gli abitanti vivono di quel poco che con dura fatica riescono a strapparle. Le comodità anche in tempi normali sono limitatissime. Al nostro arrivo le uniche persone che vi troviamo sono il parroco e qualche sperduto, miracolosamente sfuggito alla deportazione tedesca. Passando dopo molti anni per Scapoli, assieme a Salsilli, Agnelli, Tosati, Rizzi sapemmo che dopo la caduta di Cassino gruppi di donne e di uomini fecero ritorno dai paesi dove li avevano confinati i tedeschi. 

Entrando in paese e vedendo la chiesa sinistrata si buttarono in ginocchio sul sagrato, baciarono i gradini, si segnarono piangendo. Con occhi pieni di lacrime contemplarono l’abside scoperchiata, alzarono le mani invocando, e con lamenti, si appoggiarono alle pareti singhiozzando. E davanti alle loro case? Le scoperte che man mano fecero, gli orrori, delle devastazioni vennero commentati con alte grida e veementi imprecazioni, la faccia, i gesti, i movimenti erano da folli. 

Quando pure non successe il contrario: ammutoliti dallo sconforto, osservavano inebetiti e come statue pietrificate, di tanta desolazione. Molti non ressero e preferirono prendere la via dei campi o addirittura quella del volontario esilio. Simili casi si sono ripetuti in centinaia di paesi della nostra lacerata penisola. 

Il Maggiore Vitello, comandante il Gruppo, si sistema in una piazzetta su modesta casa con ariosa balconata, che si apre sulla vallata. Per mettere in batteria i 4 pezzi dobbiamo abbattere dei vecchi alberi che ci impediscono il tiro, le granate alla partenza avrebbero toccato i rami con conseguente scoppio davanti a noi. Appena pronta la batteria l’ufficiale osservatore ci fa sparare alcuni colpi al di là di una altura dove erano sistemate alcune nostre truppe alpine. Tutto questo per creare una linea di sbarramento per un eventuale assalto del nemico. 

Sparato il primo colpo, l’ufficiale dall’ osservatorio ci comunica: "Sento il colpo ma non vedo dove sia caduta la granata, forse sul lontano bosco, diminuite il tiro". Diamo la diminuzione dell’alzo e facciamo partire un altro colpo; dal telefono l’ufficiale grida: "sospendete il fuoco... avete sparato sotto l’altura, tra le tende, in mezzo ai soldati, non so cosa sia successo, sento grida da tutte le parti... spero che non ci siamo morti o feriti". 

Il capitano Franco Salsilli controlla tutti i dati: l’altezza del monte, l’altezza della traiettoria della granata quando possa sopra il monte; tutto quadra, ma il volpone di Salsilli prende il goniometro e fa la differenza tra la quota da dove spariamo e la quota effettiva della vetta del monte dove son appostati gli alpini, si accorge che la carta topografica riporta un errore di meno 56 metri. I nostri colpi cadevano al centro di questo errore. Telefonate dal Comando Gruppo... tutti sono in agitazione, constatato l’errore si cerca cosa sia successo sul monte; un nostro ufficiale, dopo un’ora di marcia, va a constatare i danni, senza accennare agli alpini cannoneggiati che è del Gruppo che ha sparato sul monte. 

La fortuna volle che i soldati, per prendere il sole erano un pò più in alto delle tende, quasi sulla punta dell’altura. Solo qualche gavetta forata e qualche tenda abbattuta.

Segue pagina 2